Giancarlo Siani nacque a Napoli, il 19 settembre 1959.
Dedito agli studi, si iscrisse alla facoltà di Sociologia e, ben presto, scelse di impegnarsi professionalmente nella carriera giornalistica, fondando il Movimento Democratico per il Diritto all’informazione e diventando portavoce della libertà di stampa in molti convegni nazionali.
Scrisse interessandosi alle fasce sociali più deboli, agli emarginati. Parlò di ingiustizie sociali, soprusi e violenze. Il degrado urbano e civile della sua città e della sua regione furono i temi a cui più si dedicò.
Non si dimenticò neanche del problema della ‘Ndrangheta, l’organizzazione mafiosa prevalente in Calabria, di cui scrisse nelle pagine del giornale “Il Mattino”.
Il suo continuo scrivere e indagare su boss mafiosi e organizzazioni criminali, lo rese un personaggio scomodo, fastidioso a tal punto da dover essere eliminato.
Giancarlo Siani fu ucciso da 10 colpi di pistola, sparati da due uomini e
trovato morto nella sua auto il 25 settembre 1985.
Solo dopo diversi anni dalla sua scomparsa si attribuì la morte del giovane giornalista alle cosche dei Gionta di Torre Annunziata e dei Nuvoletta di Marano.
Successivamente arrivarono le condanne definitive per i mandanti, Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, e per i sicari, Ciro Cappuccio e Armando Del Core. L’ordine dell’uccisione del giovane arrivò però dalla Sicilia, direttamente da Totò Riina.
A Giancarlo Siani sono state dedicate scuole, libri e il film “Fortapàsc”, con regia di Marco Risi.
La sua morte non ha bloccato la lotta per la libertà di stampa e per la giustizia, bensì l’ha rafforzata. La sua memoria è infatti simbolo di audacia e risolutezza per tutti coloro che lavorano nel campo del giornalismo investigativo.
Che la perdita di Siani sia un avvertimento per continuare a lottare verso la costruzione di una società più giusta in cui il giornalismo possa svolgere un ruolo fondamentale come guardiano di verità e democrazia.