Rosario Angelo Livatino nasce a Canicattì il 3 ottobre 1952. Si laureò a Palermo a soli 22 anni in Giurisprudenza con il massimo dei voti e successivamente conseguì una seconda laurea in scienze politiche. Partecipò a diversi concorsi pubblici: sarà dirigente dell’Ufficio del Registro di Agrigento prima di qualificarsi tra i primi del concorso in magistratura nel 1978. Rimase in procura per circa 8 anni, dove seguì molte inchieste su fenomeni di mafia, corruzione e tangenti. Nel 1982 fece un’indagine sui criteri di finanziamento da parte della Regione Sicilia alle cooperative giovanili di Porto Empedocle e la famosa inchiesta da parte della Procura di Agrigento in merito a un giro di fatture false per un capitale di circa 52 miliardi di lire.
Livatino divenne famoso per aver avviato la prima grossa indagine sulla mafia di Agrigento, in collaborazione con i Sostituti procuratori Salvatore Cardinale, Roberto Saieva e altri degni esperti, si arrivò al maxi processo tenutosi nell’aula bunker di Villaseta nel 1987, che permise l’arresto di circa 40 mafiosi. Fu qui che emerse una delle prime prove del rapporto intrinseco stato-mafia: Livatino durante le indagini interrogò numerosi politici di Agrigento, tra questi Angelo Bonfiglio, Gaetano di Leo e Calogero Mannino.
E’ la mattina del 21 settembre 1990, è una giornata particolare: il Tribunale deve decidere le misure di prevenzione da adottare nei confronti dei boss mafiosi di Palma di Montechiaro, quando sulla Statale che collega Caltanissetta e Agrigento, sul ponte Gasena, Livatino stava raggiungendo il tribunale senza la scorta e venne colpito da numerosi colpi di pistola che provenivano da una Fiat Uno e da due giovani in sella ad una moto che cominciarono a sparare anche loro contro Livatino.
Prima di morire tentò di scappare verso i campi limitrofi alla Statale ma dopo qualche decina di metri venne raggiunto e ucciso.